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Quando l'amore si trasforma in terrore

Non amo le definizioni come femminicidio, violenza di genere e omicidio passionale, seppure bisogna riconoscere ad esse il merito di porre l'attenzione su un aspetto fondamentale: il movente di queste violenze non è mai esterno al rapporto tra aggressore e vittima, non c'è una cosa terza che genera il conflitto, piuttosto il motivo generante la violenza è il rapporto stesso.

Da un punto di vista psicologico, ogni relazione può instaurarsi a partire da due posizioni differenti, volendo, opposte: quella del possesso dell'altro, oppure quella dello scambio produttivo.

Questa seconda posizione, quella dello scambio, consente lo sviluppo del sistema di relazione, quindi anche delle singole persone che ad esso partecipano, che vivono un rapporto entro cui crescere, svilupparsi, e come direbbe Erich Fromm, "dare alla luce se stesso trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere". La propria fioritura interiore non può avvenire all'esterno di relazioni affettive significative, e le relazioni basate sullo scambio producono proprio questa fioritura di ognuno dei componenti.


Al contrario il possesso è l'unica modalità di rapporto con cui dare senso al contesto, e trovare un proprio ruolo, quando non è possibile riconoscere l'Altro da sè come autonomo ed indipendente dai propri desideri, rassicurandoci entro una relazione che cerca di tenere sotto controllo chi desideriamo vicino, per garantirci che non si allontani. Il possesso ci preserva dalla paura dell'abbandono, ma ce la fa continuamente odorare, e ci priva della capacità di crescita generata dalla conoscenza con l'alterità.


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Il gesto predatorio di chi fa violenza all'altro, di chi picchia o uccide il partner che sta chiudendo la relazione, di chi impiega la violenza sessuale, è il sintomo portato all'estremo di questa dinamica di possesso, che da un lato viene alimentata dalla società attraverso tutti i prodotti di largo consumo televisivi e letterari, che in un certo senso promuovono la cultura della gelosia e del compromesso, e dall'altro è condannata nei suoi orrendi esiti, senza mai riuscire a vedere il filo conduttore.

Di recente abbiamo persino assistito a commenti quasi giustificatori delle violenze, in cui si diceva che la responsabilità sta da tutte e due le parti, perchè entrambi le parti hanno tradito quel rapporto instaurato da anni. Chiediamoci, però, che rapporto? Un rapporto basato sul possesso di uno sull'altro, e sul bisogno di conferme e rassicurazioni in risposta a questo. Sicuramente un rapporto creato dalla cooperazione tra vittima e carnefice, in cui la vittima non riesce, per motivi concreti e psicologici, a sottrarsi e costruire una alternativa... Ma perchè alimentare la cultura del possesso sostenendo che il motivo scatenante l'episodio risieda nell'aver cessato il rapporto? La responsabilità non sta nel voler uscire dallo schema di possesso, altrimenti, socialmente, continuiamo a proporre un sistema di valori che vincola la fioritura, la crescita, la maturazione psicologica.


Senza rendercene conto, dentro il possesso, la relazione si trasforma dall'essere un mezzo attraverso cui esprimere se stessi in modo creativo ad essere l'oggetto stesso desiderato, ed impossibile da perdere: "senza di te non sono nessuno". Avere l'altro significa realizzare se stessi, si delega all'esterno qualcosa di proprio, e per questo è inaccettabile l'allontanamento.

Quindi ciò su cui si dovrebbe lavorare è la capacità di sentirsi autonomi e soddisfatti anche senza l'altro, e non convincere l'altro a rimanere in un sistema di rapporti castrante e mortificante, altrimenti si tradisce il patto, perverso, mantenuto per anni.

 

Bibliografia:

Teoria: Fromm, E. L'arte di Amare, Arnoldo Mondadori Editore, 1963

Foto: Alexas Fotos

Filmato: Piccole cose di valore non quantificabile, Paolo Genovese e Luca Miniero, Zebra Production, Video

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