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Il Business delle comunità per minori?

A seguito del famoso congresso mondiale delle famiglie di Verona e durante i primi giorni del mese di aprile, la Lega ha presentato ufficialmente la richiesta di avviare un'inchiesta sul funzionamento delle strutture di accoglienza per minori. La proposta è stata condita dal linguaggio che ormai è diventato la norma di alcuni partiti e movimenti politici, quello che potremmo definire "populista", se non volessimo approfondire.

Si è parlato di "business", per esempio, invece di giusto compenso, una differenza che, a mio avviso, racconta la visione che si ha dell'assistenza sociale: ovvero l'aiuto nelle situazioni di emarginazione psicosociale come attività caritatevole, non professionale... ed estremizzando si arriva anche alle frasi rivolte ai centri di accoglienza per migranti, insultati perchè la loro funzione di aiuto avviene sotto compenso.


Cioè Aiuto e Lavoro non sono due termini che possono stare insieme, si sente vergognoso che l'aiutare sia attività professionale, laddove questo aiuto non rientra nel campo delle competenze mediche, ma psicologiche e sociali.

La nostra cultura, fondamentalmente cristiana e cattolica, permette uno scivolone in tal senso, mediante la proposta mitica della carità, del prodigarsi verso gli altri, del sacrificio e della fratellanza... ma senza spazio per la competenza professionale.


Diverso sarebbe l'impiego della categoria del compenso equo per un lavoro svolto con competenza e responsabilità.

A seguito della legge che nel 2001 ha decretato la chiusura degli orfanotrofi si è resa necessaria l'organizzazione di centri che rispondessero all'esigenza di accogliere minori allontanati dalla famiglia o privi di quest'ultima.

Per parlare di questioni economiche dovrebbe esserci prima l'accordo sulle finalità e gli obiettivi di queste strutture, poi la valutazione dei costi delle attività coerenti con gli obiettivi e poi i sistemi di verifica.

Di fatto non esiste niente di tutto questo e alcuni nostri esponenti politici definiscono "parcheggi" le comunità educative e terapeutiche, non riconoscendo loro alcuna funzione e, quindi, entro quest'ottica, qualunque compenso è eccessivo.


In una situazione di frammentazione così drammatica in cui non c'è condivisione di principi, di sistemi di verifica, di compensi e di metodologie, i centri operano in solitudine, con standard di qualità più o meno alti, ma sicuramente invalutabili, cercando di costituire reti nel piccolo luogo di appartenenza, lottando con comuni che non riescono a pagare le rette e territorio che non propone alternative.

Gli operatori che si ritrovano a lavorare entro contesti così organizzati percepiscono stipendi intorno ai 1000€ mensili, a fronte di lauree magistrali ed abilitazioni professionali, le cooperative e associazioni che gestiscono le comunità a volte fanno fronte alle carenze economiche dovute all'assenza di una strategia politica, come quella che riguarda i diciottenni obbligati a fuoriuscire dal sistema di tutela statale rivolto ai minori, anche senza risorse a disposizione.


La narrazione che sceglie termini come business, impero, profitto e parcheggio sceglie, in modo consapevole o non, di attingere alla cultura della carità deprofessionalizzata, non domandandosi, invece, se sia possibile ragionare in termini di scopi, professionismo, implemento delle risorse.

 

Crediti e bibliografia


Filmato : I ragazzi del carcere minorile di Arcireale, Associazione Papa Giovanni XXIII, Video


Foto: Pixabay, Immagine senza titolo


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